Japa mala, si chiamavano così quando nella tradizione indiana si cominciò a fare uso di questi fili di "grani" o perle per mantenere la concentrazione durante la pratica meditativa e la recitazione di preghiere o mantra.
In Sanscrito "mala" significa "ghirlanda", e "japa" significa "ripetizione", a sottolineare l'uso originario che ne veniva fatto durante le recitazioni. Oltre l'uso originario per il quale erano state create, le mala sono un simbolo della ciclicità della vita e dell'essenza spirituale dell'Universo.
Una mala è molto di più che un filo di grani per recitare. A volte viene usato per praticare la gratitudine. Trovare qualcosa di cui essere grati per ogni grano è un esercizio che può trasformare un momento, una giornata e a volte, una vita intera.
La mala ci sta vicino, condivide con noi la sua energia, assorbe le nostre tensioni e in ogni momento ci ricorda che c'è molto di più in noi e nell'Universo di quello che i nostri sensi riescono a carpire. Una mala ci ricorda che siamo tutti profondamente connessi gli uni agli altri dall'energia vitale da cui tutto ha origine. Significato che emblematicamente viene trasmesso dal numero di "grani" che tradizionalmente compongono una mala. 108 grani.
Oltre ai 108 grani, la mala termina con un "maestro", ovvero una pietra di dimensioni più grandi, alla quale solitamente è attaccata una nappina di filato. Il significato simbolico di tale elemento è legato ad uno stato di saggezza interiore cui ciascuno di noi ha sempre accesso. Durante la pratica meditativa e la recitazione, il maestro costituisce un momento di pausa, in cui riflettere su quello su cui meditiamo e per rendere grazie per tutto quello che esiste nella nostra vita.